Principi di base di chirurgia plastica: innesti, lembi e plastiche locali
Professore Associato, Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Biomediche, Università degli Studi di Perugia
Introduzione
Descriviamo in questo capitolo alcune tecniche chirurgiche che vengono comunemente impiegate in Chirurgia plastica.
Tecniche di escissione
Le lesioni cutanee vengono asportate basandosi sia sulla loro dimensione e forma sia sulle caratteristiche della regione corporea considerata. Le diverse tecniche sviluppate, con le loro numerose varianti, perseguono l’obiettivo di associare all’asportazione il minimo esito cicatriziale possibile. Al fine di scegliere la tecnica ottimale è necessaria un’approfondita conoscenza dell’area corporea e un’accurata delimitazione geometrica della regione da asportare.
Le asportazioni possono essere ellittiche, circolari, a cuneo o a “T”. Un’ulteriore distinzione viene effettuata basandosi sul numero di tempi operatori, dividendosi in singole e seriate:
- ellittiche: la lesione cutanea viene asportata circoscrivendola all’interno di un’ellissi. Una non adeguata valutazione dei rapporti geometrici tra asse maggiore e minore dell’ellisse esitano nella formazione delle cosiddette “orecchie di cane”, ossia quei sollevamenti del tessuto cutaneo e sottocutaneo che si formano agli estremi della ferita;
- circolare: questa tecnica è particolarmente utilizzata in aree cutanee dove l’asportazione di cute sana deve essere la più limitata possibile, come ad esempio la punta del naso. La sutura del difetto può essere eseguita tramite affrontamento diretto dei margini, allestimento di lembi o innesti cutanei o tramite sutura “a borsa di tabacco” per restringere l’area cutanea asportata con successiva guarigione per seconda intenzione;
- cuneo: questa tecnica si esegue per l’asportazione di lesioni in prossimità di margini liberi, ad esempio per la palpebra e il labbro. Il riaffrontamento dei margini produce una cicatrice lineare longitudinale che dà luogo a un accorciamento trasversale della regione anatomica sottoposta ad asportazione;
- a “T”: il termine T deriva dalla geometria della sutura dopo una asportazione cutanea. Si adotta per seguire il naturale orientamento delle fibre collagene cutanee (Linee di Langer) in regioni dove si presentano perpendicolari tra loro, ad esempio la regione orbito-temporale
- seriate: si tratta di escissioni eseguite in più tempi operatori. Vengono impiegate per lesioni di ampie dimensioni non suscettibili di resezione singola e a tal fine spesso accoppiate a metodiche di espansione cutanea. Le escissione seriate sono talvolta utilizzate per ridurre gli esiti cicatriziali di lesioni cutanee tecnicamente asportabili in un singolo tempo operatorio a scapito di ampie resezioni e relative cicatrici.
Tecniche di sutura
Si definisce sutura ogni procedimento volto ad accostare i margini di una ferita, con l’obiettivo di agevolarne la chiusura per prima intenzione, ridurre la contaminazione da parte di agenti esogeni e favorirne l’emostasi. Generalmente, la sutura viene condotta a mezzo di fili già montati su aghi (suture atraumatiche) ma si può ricorrere ad altre tipologie mediante l’ausilio di clip metalliche, colle e cerotti.
Per eseguire una sutura con fili è necessario disporre essenzialmente di:
- porta-aghi per manipolare saldamente l’ago; può essere di diverse misure sulla base delle dimensioni dell’ago e del distretto su cui si opera; pinze chirurgiche per afferrare i lembi della ferita durante la penetrazione dell’ago; allo stesso scopo, onde evitare di traumatizzare la cute, si può ricorrere anche a uncini;
- forbici per tagliare i fili una volta eseguito il nodo.
Il filo ideale presenta le seguenti caratteristiche:
- maneggevolezza;
- tenuta del nodo;
- resistenza alla trazione;
- scorrevolezza;
- inerzia rispetto ai tessuti;
- scarsa capillarità (ridotta penetrazione di liquidi o microrganismi nella trama del filo).
Tuttavia non esiste un filo che le presenti tutte quante. È pertanto necessario conoscere le proprietà dei vari tipi di fili in modo tale da scegliere, di volta in volta, quello più adatto. In base all’origine, è possibile classificare le diverse tipologie di fili esistenti: quelli di origine naturale, i quali possono provenire sia da organismi animali (seta) che vegetali (cotone e lino); quelli artificiali, come l’acciaio per sintesi ossea (ad es. fili di Kirschner) e strutture profonde; quelli sintetici, il cui materiale non esiste in natura, ma è sintetizzato in laborato- rio (poliammidi, poliesteri, polietilene).
Sulla base della struttura del filo, è possibile distinguere le suture intrecciate o polifilamento da quelle monofilamento. Le prime (seta, poliglactina 910) sono dotate di una buona tenuta del nodo e conseguente maneggevolezza; presenta- no però lo svantaggio d’avere un’elevata capillarità, la quale può consentire infiltrazione e conseguente infezione da parte di microrganismi. Le seconde (nylon, polipropilene, poliglecaprone) presentano, invece, una maggiore scorrevolezza e scarsa capillarità, ma la tenuta del nodo è minore rispetto alle precedenti.
Il materiale di cui sono composti i fili consente di classificare le suture in assorbibili e non assorbibili. Le assorbibili vengono degradate dall’organismo dopo un certo tempo o mediante idrolisi o per via enzimatica, pertanto si prediligono nella sutura di piani profondi come fasce e sottocute. Le non assorbibili, poiché vanno rimosse manualmente una volta saldati i margini della ferita, si utilizzano principalmente sulla cute.
Tipologie di suture
In base alla tecnica di esecuzione, le suture possono essere distinte in suture continue e suture a punti staccati, o interrotte.
Suture a punti staccati:
- punto semplice: è uno dei più usati in chirurgia per accostare margini a livello di cute, derma, sottocute e piani profondi. Sulla cute si utilizza il punto estroflettente – perché consente un adeguato accostamento dei margini – facendo attenzione che il nodo cada a lato della ferita. Nel sottocute e nei piani profondi, si utilizza il punto semplice introflesso inverso che consente al nodo di cadere al di sotto della sutura evitandone il decubito o il rigetto;
- punto a U: il punto a U verticale o di Donati-Blair viene utilizzato nelle zone di maggior tensione e per evertere maggiormente i margini qualora questi siano irregolari o costituiti da cute con spessore differente; il punto a U orizzontale viene usato anche con fini ischemizzanti;
- punto a U dermoepidermico: costituisce una variante di quello precedente; il filo passa nella cute a tutto spessore su un margine, mentre su quello opposto interessa solo il derma. È utilizzato spesso in chirurgia plastica;
- punto a 8: viene utilizzato su fasce e muscoli per una maggiore contenzione.
Suture continue:
- sopraggitto semplice: è di rapida esecuzione, ma non sempre consente un adeguato accostamento dei margini e può causarne ischemia;
- sopraggitto incavigliato: presenta una strozzatura a ogni passaggio del filo;
- intradermica: è una tra le più usate in chirurgia plastica. Non lascia segni evidenti sulla cute e non è ischemizzante. Ha lo svantaggio d’avere una scarsa tenuta, pertanto si usa come semplice accostamento dei margini cutanei, dopo una buona sutura di sottocute;
- sutura Round-Block: utilizzata soprattutto nella pessi periareolare. Consente di ridurre il diametro della ferita. Comporta la formazione di pieghette disposte radialmente lungo tutto l’anello che generalmente col tempo tendono ad appianarsi.
Suture particolari:
- suture compressive o a pacchetto: vengono generalmente eseguite sugli innesti con fili in seta per una maggiore tenuta. Prevedono l’esecuzione di punti semplici – lasciando uno dei due capi più lungo – il posizionamento di un pacchetto di garze – per far aderire l’innesto al sito ricevente – e il successivo fissaggio annodando i capi lunghi su pacchetto in maniera incrociata.
Un’alternativa ai fili di sutura sono le clip metalliche: dopo aver fatto ben accostare i margini con suture di sottocute, vengono fissate a loro le clip mediante appositi strumenti chiamati suturatrici meccaniche o stapler. L’utilizzo della suturatrice riduce notevolmente i tempi di esecuzione e in chirurgia plastica vengono utilizzate principalmente per fissare i margini di un innesto cutaneo al sito ricevente o per ferite del cuoio capelluto.
I cerotti (sintesi meccanica), costituiti da derivati della cellulosa, vengono impiegati quali supporto alle suture intradermiche o in caso di ferite superficiali in sedi poco sottoposte a trazione, qualora si voglia evitare il traumatismo da parte dell’ago.
Infine, come mezzo chimico di sutura, ci sono le colle. Ne esistono sia di biologiche che di sintetiche: quelle biologiche – generalmente una miscela di fattori di coagulazione, fibrinogeno e trombina – presentano azione adesiva, emostatica e impediscono la contaminazione del sito; quelle sintetiche – costituite da monomeri (cianoacrilati) che polimerizzano a contatto con i liquidi – trovano impiego soprattutto in caso di ferite superficiali nei bambini o ferite profonde ben accostate dal sottocute.
Rimozione dei mezzi di sintesi
La sutura deve rimanere in loco il tempo necessario a far acquisire alla cicatrice la massima tenuta e a garantire esiti cicatriziali minimi. I tempi e le modalità di rimozione della sutura variano in base alla sede anatomica, ai mezzi di sintesi impiegati e alla tipologia di ferita.
La rimozione dei punti di sutura sul volto può avvenire generalmente dopo 5 giorni, tenendo presente che palpebre (3-4 giorni), orecchie (5-7 giorni), labbra (7-8 giorni) e cuoio capelluto (8-10 giorni) presentano tempistiche differenti. Su arti e dorso i punti possono essere ragionevolmente rimossi dopo circa 10-14 giorni. Mentre quelli dati su mammella, addome e genitali vanno lasciati in loco per circa 8-10 giorni.
Le suture intradermiche, dotate di minore forza tensile, vengono lasciate in loco circa tre settimane indipendentemente dalla sede anatomica coinvolta, a eccezione del volto in cui le tempistiche coincidono con quelle dei punti staccati.
Le suture compressive, o a pacchetto, degli innesti cutanei possono essere rimosse dopo 3-5 giorni a seconda del tipo di innesto effettuato.
Per le suture a mezzo di clip metalliche i tempi generalmente coincidono con quelli delle suture a punti staccati. È preferibile rimuoverle non oltre le due settimane, per evitare la contaminazione della ferita attraverso i fori di ingresso delle clip.
Per quanto riguarda i cerotti, se sono utilizzati come unico mezzo, vanno tenuti fino a tre settimane, e comunque rinnovati a ogni medicazione. Se, invece, sono associati a una sutura a mezzo di fili il tempo può variare tra le due e le tre settimane.
Infine, per le colle, i tempi di permanenza variano tra le due e le tre settimane in base alla tipologia utilizzata.
Principi generali
Per garantire un buon risultato estetico e ridurre al minimo gli esiti cicatriziali, è opportuno osservare alcuni semplici, ma fondamentali, accorgimenti nell’esecuzione della sutura.
Innanzitutto, bisogna effettuare col bisturi un’incisione precisa con margini regolari; manipolare i margini della ferita con estrema delicatezza, utilizzando lo strumentario adatto alla sede anatomica e al tipo di sutura. È opportuno effettuare una corretta emostasi e, qualora questa risulti difficile, ricorrere al posizionamento di drenaggi esterni per prevenire raccolte fluide (ematiche, sierose o linfatiche) che impedirebbero la corretta cicatrizzazione. È molto importante rispettare i piani anatomici per evitare spazi vuoti e distribuire in modo corretto la tensione a livello dei piani profondi. In questo modo è possibile realizzare la sutura cutanea solo per accostamento e non come contenzione, prevenendo la formazione di cicatrici infossate o a gradino.
Qualora si riscontrassero dei margini irregolari, come nel caso di ferite lacero-contuse, è buona norma procedere a una loro revisione chirurgica, eliminando il tessuto necrotico o altro materiale che possa impedire la guarigione.
In alcuni casi si può riscontrare la formazione di eccessi cutanei alle estremità della ferita, le cosiddette “orecchie di cane”, che vanno opportunamente rimossi tramite bisturi o forbici; si otterrà così una cicatrice più lunga, ma piana e regolare.
Innesti
Si definisce innesto la trasposizione di uno o più tessuti da un sito donatore a un sito ricevente, previa interruzione delle connessioni neuro-vascolari.
Classificazione e tecnica chirurgica
Un innesto si definisce autoinnesto quando il soggetto donatore corrisponde al soggetto ricevente; isoinnesto, invece, qualora i soggetti, donatore e ricevente, presentino la stessa struttura antigenica (gemelli monoclonali o ceppi inbred). Gli innesti possono alternativamente provenire da altri individui (omoinnesti) o da specie diverse (etero- o xenoinnesti). Gli omoinnesti provengono da donatore o da cadavere e crioconservati in apposite banche della pelle. Nella pratica clinica, si usano principalmente gli autoinnesti, mentre omo- e xenoinnesti sono impiegati soprattutto in qualità di medicazioni biologiche temporanee su importanti perdite di sostanza come nei grandi ustionati.
In base al tipo di tessuto trasposto, gli innesti possono essere divisi in isotopici, se la ricostruzione avviene con tessuti analoghi a quelli mancanti (ad es. cute pro cute), e in eterotopici, se i tessuti innestati hanno origine differente (ad es. cute pro mucosa). Gli innesti sono detti ortotopici quando i tessuti trasferiti sono analoghi ma provenienti da sedi diverse (ad es. cartilagine auricolare pro cartilagine nasale).
Si definisce semplice, un innesto composto da un singolo tessuto: cutaneo, dermico, mucoso, cartilagineo, osseo, adiposo, nervoso, vascolare, fasciale, muscolare ecc; si parla invece di innesto composto quando vengono trasferiti più tessuti: dermo-adiposo, condro-cutaneo, osteo-cartilagineo ecc.
Gli innesti di cute sono senz’altro i più comunemente usati nella pratica clinica della chirurgia plastica. Il loro utilizzo spazia dalla copertura di ferite acute e croniche, alla ricostruzione immediata in seguito ad asportazione di lesioni oncologiche.
A seconda dello spessore con cui vengono prelevati, gli innesti cutanei possono essere distinti in innesti a spessore parziale o a tutto spessore.
Negli innesti a spessore parziale si preleva epidermide e parte del derma, risparmiandone almeno il terzo profondo, da cui, in circa 2 settimane, avverrà la guarigione, per riepitelizzazione dal fondo e dai margini. Il prelievo viene effettuato tramite bisturi o più frequentemente dermatomo. Ciò rende possibile il prelievo di questi innesti da qualsiasi regione corporea, a esclusione del viso. In particolare, la rapidità e facilità esecutiva di prelievi anche di grandi quantità di tessuto, oltre che la maggiore capacità di attecchimento, li rendono particolarmente utili nella terapia dei grandi ustionati. D’altro lato, il risultato estetico non è sempre soddisfacente per l’alta probabilità di ipo- o ipercromie e retrazioni. A loro volta, gli innesti a spessore parziale vengono suddivisi in sottili, se si preleva esclusivamente epidermide e apice delle papille dermiche (Thiersch-Ollier); medi, quando si preleva fino a 1/3 dello spessore dermico (Blair-Brown); e spessi, se il prelievo giunge fino ai 2/3 del derma (Padgett).
Negli innesti a tutto spessore (Wolfe-Krause), tramite l’ausilio di un bisturi, si prelevano epidermide e derma a tutto spessore, fino al grasso sottocutaneo i cui residui vanno rimossi dall’innesto prima del suo trasferimento. In questo caso, l’area donatrice viene chiusa tramite sutura chirurgica. Determinate regioni anatomiche sono considerate di scelta per il prelievo di questo tipo di innesti: inguinale, retro- o preauricolare, interiore dell’arto superiore, sovraclaveare ecc. Tali sedi donatrici sono scelte per la loro lassità cutanea e la minor visibilità cicatriziale. Nonostante la difficoltà tecnica sia lievemente superiore, la limitazione delle aree donatrici a disposizione e una probabilità inferiore di successo dell’attecchimento, gli innesti a tutto spessore raggiungono risultati estetici migliori, limitando le discromie e le retrazioni che tendono a caratterizzare gli innesti a spessore parziale.
Al fine di aumentare la capacità di copertura dell’innesto, è possibile aumentarne la superficie con l’ausilio di un mesher, il quale trasforma l’innesto in un innesto a rete. Tale procedura può essere applicata sia agli innesti a spessore parziale che a tutto spessore.
Una volta effettuato il prelievo viene eseguito l’innesto. Nel caso degli innesti a tutto spessore, si esegue lo sgrassamento dell’innesto, ovvero la rimozione del tessuto sottocutaneo residuo. Tale procedura aumenta la probabilità dell’attecchimento. L’innesto viene quindi giustapposto e modellato all’area ricevente, quindi fissato tramite punti di sutura o punti metallici. È di fondamentale importanza eseguire dei piccoli tagli lungo l’innesto al fine di poter permettere il drenaggio di sangue e siero. Evitare il formarsi di un ematoma o di un sieroma aumenterà le chance di attecchimento dell’innesto. Infine, ma non meno importante, vi è la medicazione dell’innesto. Questa viene eseguita tramite moulage compressivi di garza o di spugna. La compressione immobilizza l’innesto e ne rende possibile la sopravvivenza nelle prime fasi di attecchimento e protegge la formazione delle strutture neuro-vascolari.
Come ogni intervento chirurgico l’esecuzione dell’innesto può comportare l’insorgenza di complicanze, le quali ne possono mettere a rischio la sopravvivenza. Esse sono l’ematoma, il sieroma, l’infezione, la necrosi parziale o totale dell’innesto e gli esiti cicatriziali, retraenti e/o discromici (ipo- o iperpigmentazione).
Attecchimento degli innesti cutanei
Essendo interrotta la connessione neuro-vascolare dell’innesto, esso subisce un articolato processo di attecchimento che si articola in tre fasi: imbibizione, rivascolarizzazione e assestamento (o maturazione).
Affinché l’attecchimento si verifichi è necessario che l’area ricevente abbia un buon trofismo e sia capace di produrre nuove connessioni neuro-vascolari nei confronti dell’innesto. Devono quindi sussistere condizioni locali e sistemiche favorevoli. Alcune condizione patologiche possono intralciare, o vanificare, il tentativo d’innesto, come nel caso di un’area ricevente radiolesa o in quello di comorbidità quali il diabete.
Altra condizione necessaria, in particolar modo nelle prime due fasi di attecchimento, è che l’innesto riceva la massima aderenza e immobilizzazione nei confronti dell’area ricevente. Questo al fine di assicurare l’apporto di nutrienti nella fase di imbibizione e la protezione delle neostrutture neuro-vascolari. Ciò è assicurato da un’accurata progettazione ed esecuzione della medicazione compressiva. Tale medicazione viene generalmente eseguita tramite moulage.
La fase di imbibizione ha una durata di 48 ore e rappresenta l’espressione della fase infiammatoria della guarigione della ferita chirurgica. L’edema tissutale, difatti, fa da tramite per la diffusione di ossigeno e nutrienti all’innesto.
Durante la fase di rivascolarizzazione si verifica quindi la proliferazione dei nuovi vasi e delle nuove terminazioni nervose. Questa fase è espressione della fase proliferativa dell’infiammazione e si protrae per circa sette giorni dall’innesto.
La fase di assestamento ricalca la fase di rimodellamento della ferita e può protrarsi oltre l’anno dall’innesto. In questa fase si verifica la maturazione delle strutture nervose e linfatiche, il ripristino degli annessi cutanei e la retrazione cicatriziale dell’innesto, a cui segue una sua distensione. Possono altresì verificarsi alterazioni della pigmentazione dell’innesto.
Lembi
Per lembo s’intende quel trasferimento di uno o più tessuti, o di una loro porzione, che mantiene una connessione con l’area donatrice, definita peduncolo. Questo può essere costituito soltanto dai vasi deputati a questa funzione o, anche, dai tessuti che li contengono. Nel caso dei lembi liberi microchirurgici, in cui vi è una separazione tra area donatrice e area ricevente, tale connessione deve essere ripristinata.
I lembi vengono usati per la riparazione di deficit tissutali, sia superficiali che profondi, basandosi sulla possibilità di avere una propria vascolarizzazione, di utilizzare zone in cui vi sia disponibilità di tessuto e il cui prelievo da un lato riduca il deficit estetico e dall’altro permetta di distribuire su vari vettori la forza tensile di trazione sulle suture sfruttando l’elasticità dei tessuti.
Classificazione dei lembi
I lembi possono essere classificati in base a:
- vascolarizzazione: casuale (random); a peduncolo noto (assiale, fasciocutanea, muscolocutanea, basata sulle perforanti);
- sede di origine: vicinanza, distanza;
- forma: piani, tubulati;
- movimento: avanzamento, rotazione, trasposizione;
- peduncolo: permanente, temporaneo, monopeduncolati, bipeduncolati, tripeduncolati, dermico, sottocutaneo, vascolare, con anastomosi microvascolare;
- tessuto: semplici (cutanei, muscolari, dermici ecc.) composti (fascio-cutanei, muscolocutanei ecc).
Vascolarizzazione
Nella pianificazione di un lembo è fondamentale conoscerne l’anatomia vascolare, infatti, questo deve essere alimentato da una connessione vascolare o peduncolo. Se questo presupposto viene meno il lembo può andare incontro a necrosi parziale o totale. Anche deficit del ritorno venoso possono essere causa di alterazioni del trofismo con conseguente necrosi.
Lembi “random”. Sono lembi a vascolarizzazione causale. Questi lembi, utilizzati dagli inizi del ‘900, sono basati su rigidi rapporti tra lunghezza e larghezza. La vitalità del lembo dipende dalla perfusione arteriosa e dallo scarico venoso che sono costanti per le singole aree anatomiche. Aumentando la larghezza della base, quindi il peduncolo, si riesce a includere in questa un numero di vasi di portata sufficiente a garantire la sopravvivenza dell’intera area. Nelle aree in cui la vascolarizzazione presenta una maggiore pressione di perfusione, il peduncolo può essere più stretto (rapporto tra lunghezza e larghezza 3-4:1), mentre in quelle a minor perfusione deve essere più largo (rapporto tra lunghezza e larghezza 1-1,5:1).
Lembi a vascolarizzazione nota. I lembi a vascolarizzazione nota sono ricavati in aree a vascolarizzazione costante in cui è possibile identificare i vasi afferenti. La vascolarizzazione, determinata da uno specifico asse vascolare, è in grado di fornire il supporto all’intero lembo.
A seconda della alla vascolarizzazione, vengono divisi in assiali, muscolocutanei, fasciocutanei e basati sulle perforanti.
Lembi assiali. Sono basati sul sistema di vascolarizzazione cutaneo diretto in cui le arterie, che irrorano la cute, decorrono nel grasso sottocutaneo parallele alla superficie cutanea, di solito accompagnate dalle vene.
Lembi muscolocutanei. Sono costituiti dal muscolo, dalle fasce, dal grasso sottocutaneo e dalla cute e possono essere basati su uno o più peduncoli vascolari. Il supporto vascolare del muscolo è quello che vascolarizza il lembo, raggiungendo la cute attraverso vasi perforanti. Possono essere classificati in 5 tipi (Mathes e Nahai) a seconda del numero dei peduncoli vascolari e della loro dominanza.
Tipo I: un singolo peduncolo vascolare (gastrocnemio, tensore di fascia lata).
Tipo II: un singolo peduncolo vascolare dominante e peduncoli secondari che, se utilizzati tutti insieme, non sono in grado di mantenere la sopravvivenza del lembo (gracile, soleo, temporale ecc.).
Tipo III: due peduncoli vascolari dominanti ognuno dei quali può mantenere la sopravvivenza del lembo (retto dell’addome, dentato).
Tipo IV: presenza di peduncoli multipli segmentari che singolarmente non garantiscono la sopravvivenza dell’isola cutanea e vengono utilizzati come lembi muscolari (sartorio, tibiale anteriore).
Tipo V: un singolo peduncolo vascolare dominante e peduncoli secondari che, se utilizzati tutti insieme, sono in grado di mantenere la sopravvivenza del lembo (gran pettorale, gran dorsale).
Lembi fasciocutanei. I lembi fasciocutanei sono costituiti dalla fascia superficiale, dal grasso sottocutaneo e dalla cute, e sono basati su uno o più peduncoli vascolari che decorrono nei setti intermuscolari prima di raggiungere la fascia superficiale attraverso vasi perforanti. In base alla vascolarizzazione possono essere classificati in 3 tipi (Cormack e Lamberty):
- tipo A: lembo dipendente da vasi fasciocutanei multipli e indipendenti che entrano nella fascia profonda alla base del lembo e sono orientati lungo il suo asse maggiore (ad es. Lembi di Pontèn);
- tipo B: lembo basato su una singola perforante di moderate dimensioni in cui il drenaggio venoso dipende da un sistema venoso sottocutaneo o da vene comitanti (ad es. lembo anticubitale dell’avambraccio);
- tipo C: lembo basato su piccole perforanti multiple che provengono da un’arteria profonda localizzata nel setto intermuscolare (ad es. lembo brachiale).
Lembi basati sulle perforanti. I lembi perforanti sono costituiti da cute e tessuto sottocutaneo, senza fascia e muscolo, i cui vasi sono perforanti isolate che possono attraversare il muscolo o i setti intermuscolari. Il loro vantaggio principale è quello che nella dissezione si risparmiano il muscolo e la fascia profonda. Le perforanti posso essere distinte in:
- “dirette”: attraversano la fascia profonda;
- “indirette muscolari” o “miocutanee”: dopo aver attraversato il muscolo perforano la fascia profonda e vascolarizzano la cute sovrastante;
- “indirette settali” o “settocutanee”: i cui vasi passano attraverso un setto intermuscolare per poi perforare la fascia profonda e vascolarizzare la cute sovrastante.
Possiamo quindi classificare i lembi perforanti in muscolocutanei e sottocutanei.
Sede di origine
Si distinguono lembi di vicinanza e lembi di lontananza. I primi originano da zone in contiguità anatomica con quella da riparare, i secondi provengono da zone anatomicamente non adiacenti. Quando possibile si utilizzano i lembi di vicinanza poiché spesso consentono l’apporto di tessuto con caratteristiche identiche a quelle del tessuto leso.
I lembi di lontananza possono provenire da zone anche notevolmente distanti da quelle da riparare in uno (lembi a distanza diretti) o in più tempi operatori (lembi a distanza indiretti).
Forma
In base alla forma si distinguono lembi piani e tubulati. I primi possono essere triangolari quadrangolari, curvilinei ecc; i secondi sono dei lembi a distanza bipeduncolati che non sono però più utilizzati.
Movimento
In base al movimento che si esegue per trasportare il lembo dalla sede di origine a quella di destinazione, classifichiamo i lembi di avanzamento che vengono spostati con movimento rettilineo, i lembi di rotazione che vengono spostati con movimento circolare e i lembi di trasposizione che vengono spostati scavalcando una zona di tessuto indenne o passando al di sotto di questa attraverso lo scollamento di un tunnel.
Peduncolo
Il peduncolo rappresenta la porzione del lembo in cui sono contenuti i vasi che ne assicurano la vascolarizzazione. Questo può essere permanente o temporaneo. Nei primi, il peduncolo non viene reciso, mentre nei secondi, dopo un periodo sufficiente alla costituzione di nuove connessioni vascolari tra lembo e area ricevente, viene interrotto.
Altra distinzione viene fatta in base al numero dei peduncoli, monopeduncolati, bipeduncolati.
Infine, in base alle caratteristiche della struttura del peduncolo, è possibile distinguere lembi “a peduncolo dermico” costituito quasi esclusivamente da derma; “a peduncolo sottocutaneo” in cui permane una continuità costituita dal sottocute; e a “peduncolo vascolare” costituito essenzialmente dal vaso.
Caratteristiche del tutto particolari sono presenti nel lembo libero con anastomosi microvascolari. In questo viene completamente interrotta qualsiasi connessione con l’area donatrice e il peduncolo vascolare viene anastomizzato ai vasi presenti nell’area ricevente.
Tessuto
Anche se solo raramente i lembi sono costituiti da un solo tessuto, possiamo distinguere i lembi in semplici, quando costituiti da un singolo tessuto (cute, muscolo, periostio ecc.) e composti, quando costituiti da più tessuti (fascio-cutanei, muscolo-cutanei osteo-muscolari, osteo-mio-cutanei.) Numerosi lembi composti possono essere allestiti sulla base di una stessa unità vascolare detta angiosoma (Taylor). Questo è un territorio vascolare irrorato da specifici vasi definiti “source vessel”.
L’utilizzo dei lembi presuppone un’accurata conoscenza anatomica e fisiologica dei tessuti.
Al fine di una corretta esecuzione di un lembo è necessario pianificare un corretto programma preoperatorio, riuscendo a prevedere il risultato finale con il corretto orientamento delle suture lungo le linee di tensione cutanea con un’efficace ripartizione delle forze di trazione su vari vettori. Indispensabile, poi, appare il rispetto della vascolarizzazione che deve essere sufficiente a garantire la vitalità del lembo con particolare attenzione al ritorno venoso poiché appare più delicato dell’afflusso arterioso. La tecnica chirurgica dovrà essere il più atraumatica possibile, evitando trazioni e torsioni eccessive.
Plastice locali
La necessità di correggere e migliorare gli esiti cicatriziali dal punto di vista funzionale ha indotto il chirurgo plastico a sfruttare le proprietà dei tessuti locali. A tal fine, sono state proposte diverse strategie e tra quelle più usate ci sono sicuramente i lembi locali di vicinanza. Questi lembi sono utilizzati per correggere difetti adiacenti al sito donatore, mobilizzando i tessuti fino a raggiungere l’area interessata con l’indubbio vantaggio di ottenere una riparazione con tessuto simile a quello deficitario. In questo ambito rientrano le plastiche a “Z”, “V-Y”, “Y-V” e “W” che rappresentano le tecniche di base più utilizzate in chirurgia plastica.
Plastica a “Z”
È una tecnica utilizzata per ottenere l’allungamento e per modificare l’orientamento di una ferita o cicatrice. Si basa sull’allestimento di due lembi triangolari che vengono mobilizzati mediante un movimento di trasposizione. Il ramo centrale della “Z” è costituito dalla ferita iniziale o da un’incisione lungo l’asse della cicatrice; i due rami laterali sono costituiti da due incisioni parallele fra loro in continuità con il ramo centrale di lunghezza uguale a questo. In tal modo si ottengono due lembi triangolari che vengono scollati e invertiti. La “Z” iniziale risulta invertita e si ottiene un allungamento lungo l’asse iniziale. La lunghezza del braccio centrale e l’angolo della Z determinano le dimensioni del lembo aumentandone la lunghezza e ridistribuendo le forze. L’allungamento e la modificazione dell’asse dipendono dall’ampiezza degli angoli formati dal ramo centrale con i due rami laterali. Maggiore sarà l’angolo e maggiore sarà l’allungamento. Il massimo rendimento si ottiene con un angolo di 60°.
Plastiche a “V-Y” e “Y-V”
Sono lembi di avanzamento che allontanano (“V-Y”) o avvicinano (“Y-V”) due punti cutanei. Tale tecnica prevede un’incisione cutanea a forma di V o di Y, lo scollamento dei tessuti compresi tra le incisioni e di quelli circostanti e la sutura allontanando il lembo triangolare e quindi trasformando la “V” in “Y” o avanzando il lembo triangolare trasformando la “Y” in “V”.
Plastica a “W”
È una tecnica che permette di interrompere le linee di forza della cicatrice e di cambiarne la direzione. Consiste nell’asportazione della cicatrice insieme a dei triangoli di cute da entrambe i lati con delle incisioni a “zig-zag” e suturati embricandoli tra di loro. La grandezza del lembo triangolare è di circa 5 mm. Mentre l’angolo è di circa 55° in verticale.
CAPITOLO 2Bibliografia.
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FAQ CAPITOLO 2
Risposte alle Domande per l’Esame di Chirurgia Plastica.
In base alla tecnica di esecuzione, le suture possono essere distinte in suture continue e suture a punti staccati, o interrotte. Le suture a punti staccati possono essere: punto semplice, punto a “U”, punto a “U” dermoepidermico e punto a “8”. Le suture continue sono: sopragitto semplice, sopragitto incavigliato, intradermica e sutura “round block”. Tra le suture particolari abbiamo anche la sutura compressiva o a pacchetto che viene generalmente eseguita sugli innesti di cute per favorirne l’immobilizzazione e quindi l’attecchimento.
Si definisce innesto la trasposizione di uno o più tessuti da un sito donatore a un sito ricevente mediante interruzione delle connessioni neuro-vascolari.
Negli innesti a spessore parziale, la guarigione dell’area donatrice avverrà per riepitelizzazione dal fondo (dagli annessi cutanei) e dai margini della ferita. Negli innesti a tutto spessore l’area donatrice viene chiusa mediante sutura chirurgica poiché l’epidermide e il derma si prelevano a tutto spessore fino al tessuto sottocutaneo.
Il lembo a vascolarizzazione random è un lembo a vascolarizzazione casuale basata sul rapporto tra base e lunghezza. La vitalità del lembo dipende da questo rapporto: quanto più si amplia la sua base, che rappresenta il suo peduncolo, tanto più si riesce ad includere un numero di vasi di portata sufficiente a garantire la sua perfusione ematica e la sopravvivenza dell’intera area. Nelle aree a maggiore perfusione come il viso il rapporto lunghezza-base è di 3-4:1, mentre nelle aree meno perfuso come gli arti questo rapporto si riduce a 1-1,5:1.
La plastica a “Z” è una tecnica chirurgica che permette di ottenere di allungare e modificare l’orientamento di una ferita o cicatrice. Si basa sull’allestimento di due lembi triangolare che vengono mobilizzati mediante un movimento di trasposizione. La branca centrale della Z coincide con la ferita o cicatrice da correggere, mentre le due branche vengono pianificate alle estremità di questa con angolazione variabile a creare una Z. L’angolazione con cui vengono pianificate le branche laterali della Z determina il guadagno in lunghezza della cicatrice o ferita. L’angolazione ottimale che permette di ottenere una correzione efficace della cicatrice è di 60°.